La perdita del patrimonio linguistico ticinese

Perchè (non) bisogna
parlare il dialetto
parlare il dialetto
CLEMENTE MAZZETTA
Bisogna parlare il dialetto in famiglia perché così si recupera l’identità ticinese o è meglio tralasciarlo come reperto inutile? Oggi è l’idioma principale in casa solo per il 24% dei ticinesi. Apparentato al gruppo dialettale lombardo alpino, molto vario a seconda delle vallate, il dialetto ticinese è sempre meno praticato. Il declino, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, è andato in parallelo con la crescita industriale del cantone. Parlato da poco meno di 73mila persone è ormai un linguaggio da riserva indiana. Ma le proposte di inserirlo a scuola come materia scolastica non convincono. L’attore Yor Milano ha lanciato una crociata in difesa del dialetto e una raccolta fondi (come si dice "Crowdfunding" in dialetto?) per sostenere la produzione di commedie dialettali vista la cronica mancanza di risorse della Ssr. "Parlate dialetto" raccomanda anche l’attore Flavio Sala.
c.m.
Con la lingua dei padri si comunica a colori e non in bianco e nero
Yor Milano
Attore, protagonista di commedie in dialetto per la Rsi. Nel 1999 insieme a Mariuccia Medici ha fondato il Teatro Popolare della Svizzera Italiana (Tepsi)
Invito i ticinesi, le famiglie, le mamme a parlare in dialetto in casa. A rinnovare la pratica e l’interesse del dialetto, la lingua dei nostri padri. Sono molto preoccupato perché ormai sono in pochi quelli che la usano quotidianamente. Andando avanti di questo passo rischiamo di perdere un patrimonio culturale, linguistico inestimabile. Amo dire che parlare in dialetto è parlare a colori. Nel senso che il dialetto ha delle espressioni, dei modi di dire suggestivi che la lingua italiana non ha. Certo, non ha i termini tecnici dell’italiano, ma se vogliamo parlare di sentimenti, di emozioni, di cuore, il dialetto è qualcosa di meraviglioso. Basta prendere i detti tradizionali da "T’à pissò adòss l’orócch" per dire di persona sfortunata, o "Una cióca de làc" per significare cosa da niente" o "L’è ’na gran làpa" per un chiacchierone.
In passato, parlo di quarant’anni fa, nelle famiglie molti genitori hanno pensato di non parlare in dialetto con i propri figli perché così avrebbero parlato meglio l’italiano. Un pregiudizio a che ha fatto danni perché il dialetto rende molto più diretti, spontanei. Tanto che, pare incredibile, i ragazzi l’utilizzano come fosse una specie di gergo per inviarsi sms. Ma molti ragazzi, pur avendo i genitori che ancora lo parlano, non lo usano. Si rivolgono ai genitori in italiano. E così piano piano il dialetto scomparirà.
Per questo sto partendo con una crociata in difesa del dialetto che ho chiamato "Cidd", Comitato intercantonale difesa dialetto. Intercantonale perché oltre al Ticino coinvolgo anche i Grigioni. Con questo comitato voglio sollecitare quella piccola percentuale che parla ancora dialetto a diventare una grande famiglia per mantenerlo vivo e sostenere le nostre commedie dialettali.
Quelle che abbiamo registrato, come "La röda la gira" resteranno per sempre. Ma bisogna produrne altre. Bisogna coltivare al dialetto. Per questo con il Cidd voglio chiedere un contributo volontario a chi ha a cuore il dialetto. Così lo dico in dialetto: "Se ti tâ ga tegnat al dialett, ti pö regalaa du cafè al mes"? Sì, basterebbero 5 franchi al mese per sostenere la produzione di nuove commedie dialettali, visto che la nostra tv svizzera non ha i fondi necessari. Vi farò sapere.
I bambini si divertono moltissimo ad ascoltare quelle parole buffe
Flavio Sala
Attore, animatore radiofonico, comico e regista, ha fondato una sua compagnia teatrale
Non vorrei contrastare le statistiche che segnalano un calo della parlata dialettale in Ticino. A me sembra di notare piuttosto una riscoperta, un uso consapevole, quasi identitario del dialetto. L’ho osservato nella mia esperienza professionale come attore e produttore di commedie dialettali che, oggi come ieri, vengono apprezzate da un pubblico considerevole. Non solo. Sempre più spesso parlando, telefonando, incontrando persone dopo un primo inizio in italiano si passa sovente e abbastanza facilmente al dialetto. Mi sembrano indizi significativi che non si tratta dunque di un lingua morta, anzi, più ci si inoltra nelle valli più si osserva un uso diffuso del dialetto, nelle famiglie, fra i giovani, nel mondo del lavoro. In un certo senso si è superato la demonizzazione del dialetto che era propria degli Anni 70 e che quelli della mia generazione hanno vissuto sulla propria pelle, per cui succede che si parli in italiano ai propri genitori i quali rispondono in dialetto.
In quegli anni - è cosa nota - il dialetto era considerata la lingua da rifuggire, quella degli ignoranti. Un ostracismo che si è vissuto anche nel teatro. Ci sono più filodrammatiche oggi in Ticino che utilizzano il dialetto che allora. Il dialetto è stato tramandato anche grazie alle commedie dialettali trasmesse dalla Rsi che ha faticato a capire il successo del format dialettale ma ora ne è pienamente consapevole. Per fortuna c’è stato Sergio Maspoli che ha insistito con la sua "domenica popolare" e le sue commedie. Ma anche con le produzioni di Martha Fraccaroli e Vittorio Barino che hanno cercato di coniugare dialetto e modernità, sviluppo economico. Superando la realtà che vedeva il dialetto legato soltanto al grottino.
Oggi c’è dunque una riscoperta del dialetto, lo si sente parlare nella vita di tutti i giorni. Lo troviamo anche in "Frontaliers" dove il dialetto è entrato quasi di soppiatto, prima con delle battute, poi con dei personaggi. Cosa che - non l’avremmo mai pensato - ha avvicinato moltissimi bambini che non fanno fatica a capirlo, anzi si divertono. Il dialetto è più immediato, più simpatico, più comprensibile dell’italiano parlato dai ticinesi. E allora continuiamo a parlarlo.
23.02.2020
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