Lo scienziato Ernesto Burgio parla dei ritardi dell'Ue
"La lotta al virus
si fa sul territorio"
LORETTA NAPOLEONI
Ernesto Burgio, pediatra, esperto di epigenetica e biologia molecolare nonché membro del consiglio scientifico dell’European Cancer and Environment Research Institute di Bruxelles. Burgio è tra i pochi scienziati che aveva capito per tempo la gravità del Covid-19. Il Caffè lo ha intervistato.
Perché il Covid-19 sta mietendo più vittime in Europa e negli Stati Uniti che in Asia?
"In occidente manca la cultura della pandemia che invece esiste ad Hong Kong ed in Cina. Il motivo è presto detto l’Asia convive con gli allarmi pre-pandemici da decenni mentre da noi, almeno fino a pochi mesi fa, si pensava che le pandemie fossero fenomeni del diciannovesimo e diciottesimo secolo. Eravamo certi che avremmo avuto pochi casi e che i nostri sistemi sanitari fossero a prova di bomba. Naturalmente questo atteggiamento ha fatto sì che la ricerca scientifica ne soffrisse ed ecco perché da noi manca una conoscenza profonda di questi fenomeni".
Quale è stato l’errore principale che abbiamo commesso?
"Ci siamo mossi troppo tardi perché abbiamo sottovalutato il pericolo. È da gennaio che sapevamo che la pandemia era in arrivo, da quando i cinesi hanno iniziato a condividere i dati ed a correre ai ripari, ad esempio hanno iniziato a costruire ospedali per i contagiati. A questo punto, diciamo intorno a metà gennaio, tutti i Paesi occidentali dovevano muoversi per prevenire il contagio, ma non lo hanno fatto. Hanno aspettato che l’Oms facesse la dichiarazione di pandemia e che si placasse il coro di critiche riguardo al pericolo rappresentato dal Covid-19. Critiche che si riallacciavano all’allarme lanciato dall’Oms nel 2010 riguardo ad una pandemia che non si è materializzata ma che produsse molte critiche negli ambienti scientifici e soprattutto politici nei confronti dell’Oms".
Perché l’Oms ha tardato tanto a lanciare l’allarme questa volta?
"L’Oms è un’organizzazione che per essere al di sopra di ogni critica ha bisogno di una sua indipendenza economica. Nel 2010 ci fu chi disse che l’allarme della pandemia era frutto delle pressioni esercitate dalle grandi imprese farmaceutiche che producono i vaccini contro l’influenza. Erano critiche spesso strumentali, ma è chiaro che finché l’Organizzazione Mondiale della Sanità dipende da finanziamenti privati pubblici è impossibile evitare questo tipo di critiche".
In un’intervista a Radio Onda Rossa lei ha detto che la Cina si è mossa bene anche se con leggero ritardo, ci sono da noi esempi eccellenti?
"In Veneto il presidente Zaia ha ascoltato i suggerimenti del professor Andrea Crisanti, parassitologo dell’Università di Padova. Appena ci si è accorti del primo gruppo di contagi a Vo’ (ndr. nel Padovano), intorno al 20 febbraio si è deciso di chiudere tutte le attività nei dintorni, inclusa l’Università di Padova. Si sono prese decisioni ancora più drastiche come la chiusura del carnevale di Venezia per evitare i contagi. Allo stesso tempo si è iniziato a fare tamponi a tappeto e così si è scoperto che tra l’1 e il 3 per cento della popolazione era già infetto e si è dedotto che il virus era in circolazione sul territorio da almeno un mese. A quel punto la Regione ha allertato gli ospedali che hanno potuto meglio prepararsi. Adesso i tassi di mortalità nel Veneto sono un terzo di quelli della vicina Lombardia, che invece non ha seguito tempestivamente questo protocollo".
Anche in Ticino non si sono chiusi i confini con la Lombardia per non bloccare il flusso dei frontalieri. È stato un errore? Oggi il Ticino è il cantone più contagiato. Quale doveva essere il protocollo da seguire a livello nazionale?
"Appena i cinesi ci hanno detto che era scoppiata la pandemia si dovevano informare le autorità sanitarie locali; dotare di protezione tutto il personale medico e paramedico; trovare i tamponi per fare il monitoraggio del virus dove si trovava ma soprattutto cercare negli ospedali dove il virus era già arrivato e isolare immediatamente quei territori. Nessuna di queste direttive è stata presa in Italia, ma neppure in Francia e in Spagna; forse in Germania ci si è mossi un po’ meglio e questo spiegherebbe il basso livello di contagi e di mortalità".
Qual è la regola d’oro per sconfiggere la pandemia?
"Una pandemia va fermata subito e sul territorio, non negli ospedali. Anzi, se il virus entra nell’ospedale è un dramma. Inoltre è fondamentale la quarantena immediata non solo dei malati, ma anche dei loro contatti diretti".
Il problema della Lombardia è questo?
"In Lombardia il virus è entrato negli ospedali ed ha dilagato, ed infatti tra Bergamo e Brescia c’è quasi la metà dei casi italiani. Non si sapeva che bisognava assolutamente evitare che il virus entrasse negli ospedali e quindi non sono state prese le misure giuste".
Cosa possiamo fare adesso?
"Quando la curva dei contagi inizierà a scendere bisogna prepararsi per un eventuale ritorno del virus in autunno e questa volta bisogna farlo bene per evitare il peggio".
19.04.2020